El papel de los gobiernos en educación infantil. (Italiano)
1. Che l’azione politica si occupi
dell’educazione infantile è un fatto recente nella storia del mondo,
una storia che in tanti Paesi non è ancora cominciata.
Tutti i giorni all’interno delle
nostre case, tramite la televisione, siamo messi di fronte a questa preistoria
che vede i bambini e le bambine alle prese con la fame, la guerra, la
malattia, lo sfruttamento d’ogni tipo, economico, sessuale, medico.
Voi lo sapete, ai tempi in cui in
occidente la schiavitù era legalizzata, gli schiavi non avevano
un nome come gli uomini liberi. Il loro nome era quello di una cosa: "strumento,
martello, animale". Anzi il diritto romano collocava gli schiavi tra
gli animali, fissando due tipologie: gli animali con la voce e quelli
senza voce.
Quando pensiamo ai bambini commercializzati
per fornire gli organi per i trapianti o per lavorare in condizioni impossibili
con le loro piccole mani, senza compenso se non un po’ di cibo, siamo
ancora davanti alla schiavitù della preistoria, siamo contemporanei
se non indifferenti certo impotenti della preistoria. Noi sappiamo ancora
che una quantità enorme di bambini entreranno da analfabeti nel
terzo millennio.
A ben vedere, dunque, che l’azione
politica abbia cominciato da poco ad occuparsi dell'educazione infantile,
non deve meravigliarci.
D’altra parte non si può pensare
all’educazione infantile separandola dal contesto sociale quasi che essa,
certo necessaria fosse sufficiente a cambiare la situazione dell'infanzia.
Se una qualche attenzione nei Paesi dell'occidente europeo e nordamericano
ha cominciato a dare i suoi frutti, non si deve dimenticare che l’azione
politica riguardo all’infanzia non può fermarsi alla predisposizione
di strutture educative scolastiche. C’è bisogno di molti altri
interventi perché l’educazione infantile non sia inefficace. La
Convenzione dei Diritti dei Bambini adottata dall’ONU nel 1989–contemporaneamente
alla caduta del muro di Berlino–rappresenta una carta per la nuova navigazione
del mondo. Questa Convenzione è stata ratificata da tutti gli Stati
aderenti alle Nazioni Unite tranne due: si tratta dello Stato più
potente del mondo, gli Stati Uniti e di quello forse più povero,
tanto da non essere neppure uno Stato, cioè la Somalia.
Eppure la Convenzione ha permesso
dappertutto di introdurre una maggiore attenzione della politica ai bambini,
anche perché ogni tre anni gli Stati devono inviare ad un’apposita
Commissione della Nazioni Unite, un rapporto sull’effettiva sua applicazione
nei diversi Paesi.
Ciò non potrà non determinare
quella che con termine inglese viene indicata come "child impact statement"
che significa la verifica dell'impatto che ogni nuova legge–nei campi
sociale, della sanità, del lavoro, dell'ambiente, dei mass media,
della famiglia, della politica estera–ha nella situazione concreta dei
bambini e delle bambine.
Occorre, infatti, avere ben chiaro
che se in ciascuno di questi settori, vi sono problemi e sofferenze, essi
raggiungono e coinvolgono in modo più acuto i bambini.
Certo alla grande attenzione che i
Governi, i Parlamenti, le Istituzioni locali, danno ai problemi economici
e finanziari, al grande impiego di risorse per predisporre le infrastrutture
industriali, non ancora corrisponde un’uguale attenzione alle "infrastrutture
umane", agli interventi riguardanti le persone, appunto al child impact
statement. Ancora le persone sono considerate strumenti dello sviluppo
economico e sociale e non destinatari di esso. Ancora le persone, e soprattutto
quelle più deboli quali i bambini, sono viste come un problema,
invece di essere considerati una risorsa.
2. Se nei Paesi più poveri
e nelle zone più povere dei Paesi ricchi, permane la preistoria
della mancata risposta ai problemi della sopravvivenza, nei Paesi ricchi
sembra invece prevalere l’idea - che in realtà è un’illusione
– che l’accesso ai consumi di beni sia sufficiente a riempire la vita.
Ma problemi nuovi si fanno più evidenti. Non di solo pane vive
l’uomo.
L’azione educativa non può
fare a meno della speranza, che è lo sguardo positivo sull'avvenire.
Quale impatto sulla situazione
dei bambini ha avuto ed ha il cambiamento della situazione sociale ed
economica dei Paesi occidentali? Tale cambiamento è evidenziato
da fenomeni differenti, ancora inconciliabili tra loro. Si pensi alla
grande novità costituita dall’accesso al lavoro di moltissime donne,
il che costituisce l’affermazione, anche per questa via, della dignità
della donna. Fino ad ora questo fatto rischia di sacrificare la vita di
famiglia e dunque la situazione dei bambini per i quali il diritto ad
un ambiente familiare positivo, rappresenta la pre-condizione della loro
crescita complessiva, come si esprime nel suo preambolo la Convenzione
ONU del 1989, che agli artt. 28 e 29 esplicita come deve essere attuato
il fondamentale diritto all’istruzione per tutti i bambini.
Da qui l’avvio di una riflessione
politica e di interventi legislativi tendenti ad introdurre la flessibilità
negli orari di lavoro, una certa tutela della lavoratrice durante e dopo
la gravidanza. Tali interventi finora non sono stati molto efficaci se
è vero che il tasso di fecondità si è vistosamente
abbassato al di sotto del cosiddetto tasso di riequilibrio del rapporto
nascite-morti. I nostri Paesi occidentali stanno invecchiando. Solo nei
Paesi del Nord-Europa ci sono segni d’inversione di tendenza.
Altro trend è costituito dal
progressivo aumento delle famiglie monoparentali e non solo nel caso di
bambini nati da donne non sposate, ma anche in quello dove, per la rottura
trai genitori, il bambino resta con uno solo di essi, di solito la madre.
Quando i genitori separati o divorziati, danno vita a nuovi legami, si
producono situazioni nuove derivanti da rapporti con nuove figure di adulti
e con bambini che non sono fratelli. Se nasce un altro bambino, figlio
della nuova coppia, si determinano problemi di compatibilità affettiva
che possono divenire drammatici. E’ certo che in tutte queste situazioni
si verifica un impatto forte nella situazione dei bambini, senza che sia
stato ancora individuato–neppure nelle procedure di separazione e divorzio–un
meccanismo di tutela dei loro interesse.
Così accade che la legge protegga,
in caso di difficoltà familiare le esigenze degli adulti lasciando
senza tutela i bambini. E’ innegabile che per i bambini coinvolti in queste
situazioni, il percorso educativo e scolastico ponga dei problemi e comunque
necessiti di interventi personalizzati.
E’ da rilevare ancora come l’azione
educativa, anche quando possa contare su una presenza familiare serena,
interferisce comunque in con gli incessanti messaggi dei mass media ed
in particolare della televisione. I media, non di rado aggrediscono i
bambini, non solo con la pubblicità che accompagna i programmi
a loro dedicati; non solo con i modelli proposti–anche dai cartoons–che
spesso si rifanno a culture estranee a quella del proprio Paese (si sa
che i cartoons più diffusi sono di produzione americana o giapponese);
non solo con la proposta di vita come continuo spettacolo dove i protagonisti
sono i personaggi vincenti nello sport come nei quiz, nella forza come
nella bellezza, nei giochi, nelle lotterie, nella capacità di prevalere
sugli altri, anche con la violenza.
C’è dell'altro: qual è
l’impatto nella educazione dei bambini delle notizie della cronaca, dei
telegiornali? Si pensi al caso del Presidente Clinton, presentato in tutti
i suoi particolari: torna in mente la profezia di Neil Postman sulla scomparsa
dell'infanzia per effetto della televisione.
Problemi nuovi sono posti agli educatori
dall’accoglienza di bambini "diversi". Fino a qualche tempo fa
diversi erano i bambini portatore di handicap.
Certo è un fatto di grandissimo
rilievo sul piano umano che anche i bambini con handicap psichici e fisici,
siano usciti dalle loro case e abbiano cominciato a vivere in mezzo agli
altri bambini: ma anche qui, non sempre si è vista e si vede la
loro presenza come una risorsa educativa invece che come un problema.
Lo stesso vale per la "nuova"
categoria di diversi, rappresentata dai bambini dell'immigrazione, il
fenomeno che ormai caratterizza le ricche società dell'occidente.
Come accogliere questi nuovi arrivati? Sono proprio le strutture educative
della prima e della seconda infanzia, le prime ad essere coinvolte in
questa problematica che sollecita risposte complesse. Non solo, anzi spesso,
si tratta di bambini poveri, con esperienze terribili alle spalle (fame,
guerra), ma anche di bambini con diversa cultura, religione, abitudini.
Perché questa nuova presenza
di diversi si possa considerare risorsa educativa per tutti, occorrono
atteggiamenti nuovi, supportati da interventi economici e giuridici di
sostegno. Si pensi soprattutto ai bambini con genitori immigrati sans
papiers, cioè senza documenti regolari.
3. E’ evidente che oggi l’azione
educativa delle strutture della prima e seconda infanzia, non può
prescindere dagli effetti di tutte queste novità,. che riguardano
tutti i bambini anche se potrebbe sembrare che invece riguardi solo qualcuno
tra loro. La scuola materna o, prima, dei servizi di accoglienza dei più
piccoli, sono la prima occasione extrafamiliare che mette in evidenza
i problemi e sollecita risposte: problemi di solitudine, di carenze affettive,
emarginazione.
Occorre prima di tutto un personale
professionalmente preparato. Sono molti, ormai, gli Stati che hanno affrontato
la questione della formazione professionale degli insegnanti e degli altri
operatori, perché siano in grado di "sviluppare al massimo possibile
le capacità fisiche, affettive, intellettuali, sociali e spirituali"
e di "rispettare attivamente la dignità dei bambini" come
persone: così si esprime sulla scorta della dichiarazione ONU la
Raccomandazione n. R (81)3 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa.
Si è così pensato alla necessità di una formazione
universitaria per gli insegnanti della Scuola materna.
Un secondo problema è costituito
dalla necessità di allargare, fino ad estenderla a tutti, la possibilità
della frequenza dei bambini nelle strutture educative.
In molti Paesi d’Europa–per l’età
da 3 a 6 anni– questo obbiettivo è stato raggiunto. Lo si è
potuto fare contando non solo sull’intervento diretto dello Stato, ma
anche delle strutture private che spessa hanno preceduto lo Stato nell’attenzione
al problema. Non sempre, e comunque non nello stesso modo, lo Stato sostiene
economicamente il Servizio oggettivamente pubblico fornito dalle strutture
private. Una maggiore sensibilità è mostrata dalle Istituzioni
locali. Nel rapporto 14 dicembre 1995 su "una strategia europea per
i bambini" del Consiglio d’Europa si invitano gli Stati a "garantire
a tutti i bambini il Diritto ad una educazione di qualità attraverso
la gratuità dell'insegnamento prescolare primario e secondario".
Altro problema è
quello della partecipazione delle famiglie alla vita della scuola: il
dialogo indispensabile tra scuola e famiglia, necessità di strumenti
ed occasioni, che devono costituire una standard della qualità
di una scuola. Si pensi in particolare alla situazione dei bambini in
stato di sofferenza per handicap e per situazione sociale. Una scuola,
statale o privata, deve poter contare su personale specializzato, su consulenze
psicologiche e su servizi sociali integrativi. Non sempre la famiglia
accetta di essere la fonte dei problemi del figlio, altre volte - nel
caso di handicap – rifiuta di accettare la verità. Questo impone
scelte politiche precise. oltre la delicatezza degli insegnanti.
Tutti ciò, infine, necessita
di interventi economici che mettano al servizio dell'educazione dell'infanzia,
risorse del budget: non ancora, come dicevo all’inizio, è operativa
una cultura politica capace di "investire" nell’educazione con
lo stesso impegno con il quale si investe nella infrastrutture economiche
ed industriali, e militari.
Un ultima questione riguarda la
dispersione delle funzioni riguardanti i problemi dell'infanzia tra diverse
autorità e Ministeri: ciò impedisce un approccio globale,
olistico ai bisogni del bambino e talvolta impedisce ogni efficacia alle
previsioni della legge. Non è raro che le differenti politiche
ministeriali si contraddicono o entrino in concorrenza. Ciò vale
soprattutto in caso di mancata sintonia tra il Ministero della Istruzione
e quello degli Affari sociali e familiari. Sono dunque necessarie delle
misure di coordinamento nella consapevolezza del carattere multidisciplinare
richiesto dall’approccio ai termini della educazione infantile. In Italia
il Ministero degli Affari Sociali, sulla base di una legge denominata
"piano per l’Infanzia", opportunamente finanziata, si è
organizzata una conferenza nazionale per la consultazione di quanti operano
nel campo della infanzia ed adolescenza.
Fino a che il bambino è
stato considerato dagli adulti come un essere a parte, incompleto ed incompiuto,
anche i problemi connessi alla sua educazione erano problemi a parte e
perciò esclusi dalla politica. Ora che è evidente la pienezza
della dignità personale del bambino e della bambina, ora che è
chiaro che essi sono cittadini con dei diritti, occorre che la politica
tenga conto di loro, misurando la propria efficacia su quanto e capace
di fare per loro, per la loro crescita e dunque per l’avvenire del mondo.
Ricevendo il 23 novembre 1991
in Piazza San Pietro oltre 200.000 persone, insegnanti, alcuni genitori
delle scuole non statali, il Papa Giovanni Paolo II disse: "nulla si
può fare di più prezioso per il futuro del mondo che incoraggiare
e sostenere tutte le istituzioni che prendono a cuore la crescita dei
bambini".
Credo che questa valga per molti
di quelli che mi hanno ascoltato e che, perciò ringrazio.